La sveglia è puntata per le 05.30, ma da alcuni minuti sono sveglio, con gli occhi chiusi in attesa d’aprirli senza dolore. Alla fine Rosie s’alza per prima ed io la seguo a ruota. Bagno, colazione e preparazione e poi, giù in strada, Silvano ci attende con la sua auto attrezzata come un mini camper: non posso fare a meno di confrontarmi con la sua organizzazione, niente cambio, tre frecce spaiate, arco, corda e poco altro. Un poco che mi farà patire il freddo, ma ormai…
Verso Ovest, la terra dei morti.
Ovest, uno dei Nani che regge il cielo, cielo che ci arride schiarendosi nell’alba che cresce fino a diventare un mattino sereno.
Torino, aggirata da Nord, poi le montagne, alcune ingrigite dalla neve, troppo leggera per essere un manto candido. Strade che si stringono, che si sterrano, che avvingono il monte, che finiscono ai piedi del Casale di Marina, una arciera che, col marito, ha lasciato la Vecchia Capitale per rifugiarsi qui, lontano da tutto.
Oltre che dal casale, siamo accolti dalla gente della Pass e la loro calda ospitalità ci avvolge. Una gara sperimentale, mutuata dal Parcour de Chasse francese e proposta da Giampiero Bertalot. Alcune modifiche la rendono adatta alla stagione e alla necessità di non stravolgere il percorso già in essere. Il Turco suscita curiosità, anche in Filippo, dal quale nel ’96 comperai il primo Grozer. Sono ansioso di provare questo arco cortissimo, che sembra un giocattolo, faccio un paio di frecce di prova, tirando anche quelle in prestito dai Martelli e decido di usare le tre che mi sono rimaste: volano meglio.
Si parte! Una scarpinata in salita che mi provoca un forte dolore al petto, un bruciore che lo attraversa tutto, come una sferzata, mi faccio forza e arrivo ultimo alla nostra piazzola, accompagnato da Giorgio della Pass che, con discrezione, vigila su di me.
La gara si dipana tra salite e discese per ventuno piazzole, su un percorso reso infido dal fango, ma interessante per le soluzioni arcieristiche adottate. Anche avere tutti i tiri a tempo è un’ottima soluzione, snellisce la gara ed evita inutili sofismi.
Il Turco! Già perché è lui il protagonista di questa prova: il fatto che mi piaccia, che coroni un sogno lungo cinquant’anni è di sicuro una fortissima premessa; scocco dopo scocco lo sento sempre più mio, vado alto, spesso molto alto ed accumulo un sacco di zeri, ma ciò non mi delude, anzi mi esalta. Quarantadue frecce e alla fine nessun affaticamento, piano piano comincio ad inquadrare l’alzo e qualche punticino s’accumula!
Finita la gara mi rendo conto che l’entusiasmo mi ha offuscato: ho tralasciato i fondamentali e ciò è crudelmente quanto puntualmente feroce. Continuo, comunque, a essere felice; ora dovrò fare frecce migliori e più adatte, concentrarmi sul controllo del respiro, sulla fermezza della mano, sulla trattenuta – breve ma indispensabile – sul rilascio morbido, quasi che la freccia prenda il volo da sola, lasciandoci solo il tempo d’un lieve ooh, di stupore e sorpresa.
Improvvisamente mi trovo al traguardo agognato, ma con gioia mi rendo conto che lo striscione da un lato ha scritto traguardo, dall’altro partenza. Un nuovo viaggio m’attende con un nuovo, quanto gradito, compagno d’avventura e insieme andremo oltre il bersaglio.
[Kö da Fér]